sabato 24 novembre 2012

Brrr (Montreal, Quebec)

Dopo tanto tempo ritorno al pezzo. Primo, per co-festeggiare coi vicini statunitensi la vittoria di Obama.

È da tanto che non scrivo e nel frattempo è arrivato l'inverno qui a Montréal. Inverno per me, ma il peggio deve ancora venire. Comunque a 2-3 gradi posso benissimo andare in bici, anzi il parka che mi protegge mi fa anche sudare dopo un po'. Gli scarponi artici li ho comprati in un negozio dove il servizio è come d'altri tempi; il padrone ti calza il piede, ti segue, ti consiglia e, dopo l'acquisto, ti accompagna alla porta e ti stringe la mano.
Finché non nevicherà, io vado in bici per le strade di questa bella città mezza europea e mezza canadese. I cartelli delle piste ciclabili indicano che sarà possibile parcheggiarci le auto dal 1 dicembre al 31 marzo, quindi non si prevedono molti ciclisti per ben 4 lunghi freddi mesi. Come farò? Intanto però qua non piove quasi mai, mai visto tanto sole in 20 in Canada. E la gente, eh qui sono tanto come noi, espressivi, cordiali, pazzerelloni, affettuosi. Alla mia prima festa a Montréal ho ballato con musica disco fino alle tre di notte - chissà quando fu l'ultima volta che andai a dormire a quell'ora.
Sto facendo amicizie con una facilità mai sperata tra gli anglofoni. Aiuta molto frequentare un corso intensivo in cui vivo esperienze forti con altre persone e questo ci sta legando molto.
Primi fiocchi di neve oggi… ahí ahí ahí…

domenica 18 novembre 2012

Silvia. Il prossimo viaggio.


Atterriamo in due città diverse, in due momenti diversi, ma nello stesso continente, nello stesso paese. Partirai di nuovo, ma intanto viviamo insieme questo bell'autunno. Ci addormentiamo tardi, la notte, perché ci piace parlare. La mattina invece ci alziamo presto per andare a lavoro. 
In questa stagione di licenziamenti delle commesse un lunedì mi suona il telefono. Mi chiamano a fare qualcosa che amo, il lavoro che sento mio. 
Così tutto il giorno i bambini mi chiamano maestra. E tu la sera mi chiami per sapere cosa ho preparato per cena. La buona riuscita dei miei piatti è una scommessa che perdo volentieri, mentre tu ridi e ti assicuro che anche stasera avevo cucinato con amore. 
Oggi, dopo colazione, andiamo alla stazione. 
Ti faccio ciao con la mano e decido che non scriverò più. Abbandono il romanzo dei nostri continui viaggi, del perdersi e del ritrovarsi. La scrittura ci ha a lungo tenuto in scacco coi suoi gorghi affascinanti e terribili, non voglio più vederci vivere sulla carta. Le nostre ferite colossali le curerà questo autunno, il prossimo inverno, o il prossimo anno. Forse, il prossimo viaggio. 

mercoledì 7 novembre 2012

Ce l'ha fatta (Felice, US)

Sarà difficile che mi dimentichi del grido di cinquanta adolescenti all'annuncio della vittoria di Obama. E' stato contagioso, e mi ha travolto e coinvolto. Le lacrime di due ventenni nere hanno suscitato le mie. Non scorderò neanche quelle. Mi hanno fatto capire meglio cosa stava succedendo. E' stata una vittoria della speranza. La politica veniva dopo. Ha vinto la volontà di concedersi una possibilità nuova, e il rifiuto di affidarsi ad un passato rassicurante ma comunque ingiusto e oscuro. Ecco cos'era la strana calma, ai limiti del torpore, del giorno prima delle elezioni. In realtà era una molla che si stava caricando e ad un certo punto desiderava solo saltare. Lasciarla lì, compressa, avrebbe voluto dire lasciarla arruginire senza che potesse rilasciare la sua energia. Ma alla fine ce l'ha fatta. Si  è liberata di tutta quella energia con un grido.

lunedì 5 novembre 2012

Domani ci sono le elezioni (Felice, US)

Notte pre-elettorale. Non c'è nè tensione nè attesa spasmodica nell'aria. Ora che scrivo mi rendo conto che con i colleghi, l'argomento non lo abbiamo toccato per tutto il giorno. I giornali danno la notizia in evidenza, ovviamente. Ma insieme alle altre. L'enfasi dei giornali italiani è sproporzionata rispetto alla stampa locale. Già durante i dibattiti televisivi mi ero reso conto, ad un certo punto, che mi sono portata dietro dall'Italia la smania della politica, della partigianeria. Una sera, infatti, mi sono ritrovato insieme ad altri due italiani a vedere il dibattito fra i candidati. Amici, conoscenti, colleghi americani non hanno spostato impegni o annullato cene per l'occasione. I giornali hanno fatto un pò di propaganda, giusto per vendere qualche copia in più, si sa come vanno queste cose. Ma, di nuovo, i giornali italiani l'hanno fatta molto più lunga. C'è sicuramente un elemento importante, che credo di aver capito, della società americana. Il mito americano è quello della persona che si fa da se. Ed in questo, Obama sicuramente incarna il mito. Questo comporta che la politica non è poi troppo importante, sicuramente non è più importante di altre cose. Si, lo so, lo so. Alla fine tutto dipende dalla politica. Ma gli americani non delegano alla politica il proprio destino. Non si aspettano che il governo gli dia il lavoro. Gli americani chiedono alla politica le condizioni per crearselo da soli il benedetto lavoro. Quindi, niente spasimi. Niente nottate elettorali. Niente proiezioni elettorali e spoglio in diretta. In TV stasera non ci sono programmi speciali. Strano. Ma è la verità. Ma perchè noi italiani diamo tanta importanza ai politici da trasformarli in rock-star? E aver bisogno ogni giorno della loro parola? Del botta e risposta? Degli urli?. Le nostre stesse pagine Facebook, a confronto con quelle di tutto il resto del mondo, sono dei siti di propaganda politica continua.  Ma perchè gli diamo così  tanta importanza? Se gliene dessimo un pò di meno di attenzione, loro, i nostri politici, sarebbero migliori. Ne sono sicuro.