martedì 29 maggio 2012

Toronto, Ontario, Canada (Gechi)

Appena tornato da un fine settimana lungo a Toronto, dove fa già caldo e afa notte e giorno. Città enorme, sul lago Ontario a sua volta enorme. Dalla spiaggia non si vede all'orizzonte che acqua e cielo. Lago che poi non vedi mai, a meno che tu non viva nei quartieri adiacenti. Mia figlia vive in centro e le ci vuole una quarantina di minuti fra metro e bus per arrivare alla zona Beaches, con le spiagge, i servizi, ecc.
Oppure con il traghetto in 15 minuti si arriva alla Toronto Island, un'isoletta tranquilla con tanti cottage colorati e niente auto, solo bici. Da una parte vedi il lago infinito e dall'altra i grattacieli della metropoli. Molta gente gira in bici per la città d'estate, nonostante un traffico aggressivo e insofferente, delle strade per niente amiche dei ciclisti e per giunta con le rotaie del tram, che se le prendi male fai un gran volo. Come se non bastasse, l'attuale sindaco è un nemico dichiarato delle piste ciclabili e considera i ciclisti "un problema" per gli autisti.  Una specie di leghista dell'auto, che sfrutta gli istinti bassi di chi al volante non ne vuole sapere di rallentare e rispettare anche i veicoli non motorizzati. Ma c'è anche un movimento pro, che si dà da fare e tiene d'occhio il governo municipale.
Non avendo una bici a disposizione, mi sono fatto delle belle scarpinate con dei sandali nuovi che mi han procurato delle vesciche grandi così. Camminando di qua e di là, senti tutte le lingue del mondo e l'inglese è raro; o un inglese con forti accenti stranieri. Anche dallo stile architettonico delle case e dei giardini si può intuire la provenienza degli abitanti; dalle cafonaggini urlate italo-iberiche al praticello tirato a lucido dei nordici. Toronto offre di tutto.

sabato 26 maggio 2012

Affidarsi a un astro(Barbara, Glasgow)


Contrariamente al solito, da due giorni è piovuto su Glasgow un sole strordinario.
Da quando l'astro madre del sistema solare ha fatto la sua comparsa in maniera davvero credibile, collants, calzini, golfini e magliette (mai vista tanta gente a torso nudo in una località non di villeggiatura) sono scomparsi dentro un nonsodove interplanetario, sfuggendo alle orbite d'ordinanza.
Le ragazze, tutte sorriso ed efelidi, con orgoglio si mostrano reciprocamente le loro abbronzature da fototipo I e II che in medicina si chiamano eritemi solari, ma io sto zitta, perchè qui con i miei occhi castani, anche se fotoprotetta, sono in netta minoranza (e comunque per simpatia sono spuntate subito delle lentiggini sul naso anche a me).
Ieri, che era una giornata splendida come oggi, ho camminato tantissimo, ho percorso a piedi tutta la Byres Road, la Great Western Road, la Sauchiehall Street e la Buchanan Street, saranno almeno due o tre miglia. Su ogni fazzoletto di prato ho visto persone sedute a chiacchierare, a leggere, o sdraiate a schiacciare un pisolino o a improvvisare pic-nic e suonate collettive, con una contentezza che ti faceva pensare alla luce come a una benedizione o una ricompensa. Non c'è stato negozio in cui non mi abbiano detto "enjoy the weather!" e la fila di persone in coda per il gelato davanti al "Nardini's" era proprio sintomo di bel tempo.
Anche adesso, dalla finestra di casa, vedo il Clyde che scorre quieto e luminoso e gli si specchia dentro questa parvenza d'estate. Ogni tanto passa un gabbiano e grida, segno che il Mare non è lontano.
La città mi ha accolta con la sua faccia più bella per darmi l'abbraccio di benvenuto, allora oggi per festeggiare il caldo prepariamo fusilli con pomodorini ciliegini...dell'Isola di Wight. Sulla scatola c'è scritto "Piccolini Cherry Tomatoes", per la precisione.

venerdì 25 maggio 2012

Faro (Matte, Lisboa, Tra Terra e Oceano)

Faro è a Sud, sull'Oceano, che per arrivarci ti devi fare ore di treno-autostrada attraversando l'Algarve, il Portogallo profondo, arido, boscoso di pini marittimi, spopolato, povero, che assomiglia un po' alla California di Zorro. Il sole è permaloso, se la lega al dito e non perdona; ma l'aria è secca e tira una buona brezza che quando sei in spiaggia non ti accorgi neanche che ti stai bruciando e che la pelle ti diventa del colore del piri-piri, la salsa piccante più popolare della penisola iberica. C'è l'areoporto, le avenidas coi baretti un po' da turisti, palme e fiori ovunque, l'Università, i complessi residenziali nuovi, le discotequine, un misto tra Miami Beach, Rosolina e la Costa Azzurra quando non c'è gente. Perchè spesso i visitatori passano, vedono, poi se ne vanno al mare da qualche parte là intorno, che a Faro le spiagge belle non sono proprio sulla città, bisogna andare un po' fuori, che in centro c'è solo laguna neanche fossimo a Chioggia. 
Lo spettacolo vero te lo accorgi quando passi per il centro. C'è un grande arco a lato della piazza principale, con sopra pantagrueliche cicogne spavalde che non ti cagano di striscio - e per fortuna che non lo fanno, che sarebbero dolori e financo odori - un arco, dicevo, che come fungesse da porta temporale ti introduce nella magica città vecchia, murata e silenziosa, portandoti in una dimensione spopolata e affascinante che commuove.


E così si passeggia per questa città veramente semideserta, coi muri bianchi ai lati di ogni stradina, con cartelli e manifesti di mostre fotografiche sempre chiuse, con gruppi di sparuti turisti francofoni che sbirciano timidi i labirintichi budelli  della cittadina per poi ritrarre la testa come tartarughe, temendo forse di disturbare la pace regnante. Io invece in posti così mi ci sento a casa e mi infilo in ogni buco e annuso ogni fiore, che con quella luce, quei colori chiari dei muri e quel silenzio, che spettacolo, ragazzi miei. E guarda che belle le radici che spaccano il vaso, ma sostengono comunque la pianta:


La città vecchia è come il nocciolo storico di quella nuova, il posto dove ancora c'è memoria, trachite, spazio comune degno di questo nome.





Me ne sono andato pensando che avrei voluto egoisticamente portarmelo via con me, quell'intestino di mattoni e profumi. Ma è bello lì dove sta e, in fin dei conti, me n'è dolce il ricordo, e mi sarà per molto ancora, credo. Ciao Faro, restami pura.

martedì 22 maggio 2012

I cento giorni di Montreal (Gechi, Victoria, Canada)

Da cento giorni gli studenti universitari di Montreal e del resto del Quebec sono in sciopero, per protestare contro la decisione del governo di aumentare le tasse scolastiche di $1625 in 5 anni. Oggi una manifestazione enorme si è svolta nella città, anche per protestare contro la legge speciale 78 che limiterebbe la libertà di circolazione delle manifestazioni. Non solo studenti, ma simpatizzanti di ogni tipo, famiglie intere e in genere una mobilitazione che fa parte dell'ondata mondiale di indignazione politica e morale. Una partecipazione di 100.000, secondo la polizia, o di 250.000, secondo gli organizzatori. Simbolo della protesta è diventato un quadratino rosso (bianco, per i moderati, nero e rosso per i più radicali), che si appiccica ovunque, dalle magliette alle statue. Ultimamente si è fatto anche nero, in segno di lutto per la morte dei diritti civili.
Siamo in maggio, parlano francese, sono  tutti in strada a protestare...déjà vu?


 



domenica 20 maggio 2012

Silvia, a casa

Primo maggio a Berlino. Non ho mai visto così tanto sole come oggi qui, e i parchi verdi, e decine, centinaia, migliaia di persone. Non facciamo altro che meravigliarci di tutto. L’intera città sembra essersi riversata tra Kottbusser Tor e Görlitzer Park. È un giorno di festa da esprimere in ogni modo. Ci sentiamo felici, credo, la musica è dappertutto e per le strade si ballerà fino alla notte. Stare insieme è bellissimo. Dai tetti, ad un certo punto, esplosioni. Mi sembra di ricordare anche dei fuochi d’artificio, ma forse mi sbaglio. Elicotteri nel cielo. A metà pomeriggio piove, ma solo un po’.
Il giorno dopo leggiamo sui giornali che sono state fermate 119 persone. La polizia era dovunque, le strade e le stazioni della metro intasate, e il corteo enorme, ma le manifestazioni sembravano succedersi l’una all’altra senza incidenti. E invece devono essercene stati. Faccio una ricerca su internet e trovo i video su Youtube. Probabilmente negli stessi istanti, a pochi metri, noi giocavamo a “io non ho mai”. Funziona che a turno ciascuno dice una cosa che non ha mai fatto, e gli altri, se non l’hanno fatta nemmeno loro, bevono. Se invece l’hanno fatta, quella cosa, non bevono. Può bere anche chi ha detto “io non ho mai”, nel caso abbia detto che non ha mai e invece ha, sì, l’ha fatto.
Quando torno da Berlino mi porti in giro con il motorino. Lo so che si dice scooter, ma io dico motorino. Mi vieni a prendere a casa e corriamo via nel sole. Vorrei raccontarti tutto e invece non ti racconto niente.
Oggi invece piove. A colazione abbiamo mangiato la torta di mele.

giovedì 17 maggio 2012

Il nuovo mondo (Felice, US)

Sono saltato direttamente dalla lettura delle news alla pagina di 7world, spinto da una specie di urgenza a condividere una scoperta. "Minoranze oggi sono maggioranza negli USA", questo il titolo della notizia. Avevo avuto segnali che qualcosa del genere fosse nell'aria. Per esempio che il numero di americani che parlano lo spagnolo, in qualche stato ha superato gli english speaker. Ma ora si aggiungono i colori. Il "bianco" non rappresenta più l'aspetto del cittadino medio americano. Abbiamo alle spalle diversi decenni di film che sono stati parte non secondaria nel creare un concetto di "bianco" che va al di là del colore della pelle. Bianco=americano vuol dire, infatti, buono, ricco, leale, determinato, bello, ecc, ecc. Neanche le storie di Malcom X e Martin Luther King sono riuscite ad intaccare lo stereotipo, anzi, mi viene il dubbio che in qualche caso lo abbiano addirittura rafforzato. Ma vabbene. Tutto ciò sembra davvero essere acqua passata. Quando Obama è diventato presidente lo abbiamo salutato perchè lo sentivamo vicino a noi. L'ideologia ci ha impedito comunque di intravedere il messaggio vero che quella elezione lanciava. Me ne rendo conto adesso. Obama non è stato un marziano-partigiano capace di fare il miracolo e rovesciare il potere dell'uomo bianco. Obama è uno specchio della società americana colta nel momento in cui sta cambiando letteralmente pelle. E mi fa essere tranquillo sul futuro: non credo che la nuova maggioranza rinchiuderà la minoranza bianca in una riserva. Eppure, sono curioso come una biscia di vedere come gli USA saranno tra, la butto lì, 50 anni! Sarà il caso che vada in giro con la macchina fotografica per immortalare gli ultimi esemplari di una specie in via d'estinzione? Non so perchè, ma questa situazione mi diverte tantissimo !

lunedì 14 maggio 2012

Vanessa, Newcastle upon Tyne, UK

Sto forse invecchiando troppo velocemente? 
Non che me ne importi piu' di tanto, ma mi sono resa conto che proprio in questo periodo sto cercando di organizzare il giorni di Natale.
Deve ancora arrivare l'estate, non organizzata, un autunno sicuramente emozionante e io sto con la testa per quell'ultima settimana di dicembre. Il che, in qualche maniera, mi fa sentire bene, mi fa sentire padrona del mio futuro anche se non lo saro' mai a pieno. 
Poi mi ritrovo di nuovo bambina a guardare la Storia Infinita ea ricordarsi delle emozioni crescenti di quella fase di me. Mi piace essere ancora bambina. Mi piace essere invecchiata. Ma da adulta come mi sento?
Non c'e' fase o ruolo che mi impadronisca e mi sento me stessa come una nuvola che cambia forma ma non colore. 

venerdì 11 maggio 2012

Dov'è finito Sante? (Christian, Amersfoort, NL)

L’ultima volta era stato avvistato alle ore 8:17 del 30 marzo nel self-service dell’ospedale Meander di Amersfoort. I suoi amici più stretti erano a conoscenza della sua paura infantile per i prelievi, ma non si erano spinti a pensare che fosse scomparso così nel nulla per un motivo così futile. Dopo pochi giorni, inoltre, avevano saputo che il prelievo l’aveva fatto, che si era tirato i suoi soliti cinque minuti di svenimento e la sua mezzoretta di risate isteriche, ma che poi, per l'appunto, era andato nel self-service. Un medico e un'infermiera erano rimasti così disgustati dalle cinque bustine di zucchero che aveva messo nel the alla ciliegia che si erano immediatamente ricordati di lui quando un giovane poliziotto aveva loro mostrato una foto di Sante. “Ah sì sì, certo che ce lo ricordiamo - dissero in coro - E’ morto di diabete?”. E lo chiamano “umorismo”.
Appurato tutto questo, restava la domanda: dov’era finito Sante? Non aveva preparato la fuga: a casa aveva lasciato perfino il computer accesso. Non aveva prelevato soldi dal bancomat e non aveva lasciato lettere suicide sul tavolino. Non era neppure scappato per timore dei risultati delle analisi, come pensò a un certo punto Pieter de Bruin - architetto d'interni e poi, chissà perchè, poliziotto -  pensando di aver trovato una soluzione geniale al mistero. La dottoressa Marieke van Dalen, che ricevette l’esito del prelievo dopo una settimana circa, confermò che Sante era in ottima forma. C’era giusto un calo della vitamina D, ma era il minimo vista la sua provenienza mediterranea e il tempo osceno che faceva da mesi in quell’angolo nord-occidentale d’Europa. Una pasticchetta di vitamine al giorno gli sarebbe bastata.
No, non poteva essere scomparso per quello. Ma perché allora? Ed era scomparso volontariamente o... ?
Carlo Cedron, gelataio stagionale, era arrivato da quelle parti da cinque settimane e lì aveva pensato di fermarsi per quattro mesi, fino all’inizio dell’autunno. Aveva scambiato due chiacchiere con lui quelle quattro o cinque volte che era entrato nella gelateria sulla Leusderweg. “Prendeva sempre vaniglia e cioccolato” – disse ai due poliziotti in bicicletta che andarono a interrogarlo. Non gli sembrò una notizia importante da riferire, ma era quello che aveva da dire a due poliziotti in bicicletta. Ad ogni modo, Sante lo aveva colpito, con quell’aria un po’ trasognata e la sua immersione permanente nei suoi libri, nelle sue ricerche. Gli aveva parlato di un articolo sui giardini dei manicomi nell'Ottocento, o qualcosa del genere. Non che ne avessero parlato a lungo né approfonditamente. Erano arrivati altri clienti, una masnada di bambini una volta, un paio di coppie un’altra. In una cosiddetta “giornata di sole” (anemico) si era formata perfino una coda fino a fuori la gelateria. Sante l’aveva salutato da lontano, passando
A Carlo, Sante stava simpatico. Ogni volte che lo vedeva si diceva: “Cedron, quella è una brava persona. Prova a trovare un po’ di tempo libero per andarti a prendere una birra con lui”. Ma il tempo era mai libero: ore e ore in gelateria, spesso da solo per assenza di clienti. Sante gli aveva fatto capire una volta che c’erano delle telecamere nella gelateria. “Poi ti spiego meglio – gli aveva detto – ma tu intanto stai accorto”. “Cedron, lo vedi che è una brava persona quello lì, trova il tempo per frequentarlo di più” – si era detto di nuovo Carlo. Ma dopo dieci ore di lavoro, andava sempre di filato a casa a dormire. E dormendo passava pure l’unico giorno libero, il mercoledì.
Ecco, appunto un mercoledì sera sul tardi gli era sembrato di vedere Sante passare sotto casa sua, dietro la Leusderweg. Due settimane prima, cioè tre dopo la scomparsa. Aveva provato a salutarlo dalla finestra, ma Sante si era infilato – gli era sembrato – in quella specie di club o di sala di biliardo sul retro del kroeg (o pub) abbandonato da anni. Non aveva mai visto nessuno entrare lì dentro e neppure uscirvi. Ma qualche sera aveva visto delle ombre e comunque delle luci, benché fioche. Ne aveva viste anche quella volta, ma più tardi, verso le due di notte, mentre faceva le parole crociate nel letto.
Agli agenti in bicicletta non raccontò niente di tutto questo. Carlo si fidava poco dei poliziotti, specie di quelli in bicicletta. Poi uno dei due aveva una telecamera piantata sul casco. “Cedron, attento, questi filmano tutto” – si era detto – Bocca cucita. E soprattutto non raccontargli che Sante non lo hai mai visto uscire di lì”.

giovedì 10 maggio 2012

Onirincontro (MatteoLisboaPortugal)


La donna se ne va sbattendo la porta. Lui va verso il salotto, strascicando i piedi e massaggiandosi la fronte. Vuole mangiare qualcosa, prima di andare a letto, ma si accorge che ovviamente Katia non gli ha lasciato niente di pronto. Tira fuori dal freezer una pizza congelata e la caccia nel microonde per tre minuti. Ne mangia metà, tagliandola a fettine con le posate, poi non ha più fame e la butta nel cestino dell'umido. Va a stendersi nel letto, dopo essersi tolto la giacca e i pantaloni, ma non riesce e rilassarsi. Si gira e si rigira, sbuffando. Prova a massaggiarsi ancora la testa, concentrandosi sull'improvvisata auto-pranoterapia. L'imposizione delle mani però ha scarso successo. Allora si alza, va in cucina e pesca da sopra un mobile una bottiglia di brandy impolverata che non toccava da un bel po' di tempo. Se ne versa un dito in un pregiato bicchiere di cristallo. Ci mette due minuti a finirlo, a piccoli sorsi, poi se ne versa un altro e lo secca di schianto, alla goccia. Ritorna verso il suo letto a due piazze, bianco. Si distende a pancia in su, coi piedi incrociati, imponendosi di restare in quella posizione. Il respiro si regolarizza lentamente e il sonno finalmente ha la meglio. Ma è un sonno agitato, che lo fa sudare.

Vago, vago, vago vagare. I piedi posati sul tappeto di foglie marce e rami secchi e spinosi. Cespugli che crescono come brufoli, strani animali pelosi grigio topo e marrone cervo, fiori grandi e piccoli, uteri di petali e polline, insetti pelosi, pungenti, ronzanti. Pietre e sassi e macigni e castagne. Fronde ovunque. Parole sconnesse, mentre il bosco è verde e un po´ scuro. Gli alberi sono tanti, sono ovunque e sono alti, tanto alti, così tanto che non hanno fine, si vedono solo i rami e le fronde spezzati dal sole, dalla luce che però non riesce a passare, si intuisce e nient'altro. Alzare la testa fa male, la luce ferisce gli occhi, meglio guardare avanti, sì meglio, molto meglio, molto meglio. Quercia che enorme ti stagli sul mio cammino, ma quale cammino, non c'è sentiero da seguire, non c'è traccia da fiutare, non ci sono orme, solo foglie secche che pestate non fanno rumore, larice e pioppo e ontano che insieme bisbigliano con la voce del vento, poi urlano, e cantano, e ancora sussurrano e nascondono la possente voce, la celano alle orecchie facendo coppe con le loro mani ramose. Anche il castagno si fa sentire, ha l'ugola dolce e un po' amara come il miele che stilla dal suo fiore, un suono strano che esce ma da dove? Ah, sì, ecco da dove, dalla bocca che altro non è che la base di un ramo tagliato, antico segno di ferita di guerra ch'egli porta fiero come un vecchio la benda sull'occhio, cicatrice glassata di resina che ora si stringe, s'allarga, s'ovalizza ed emette quest'intenso sibilo a me diretto, son sicuro. E come lui anche i piccoli sambuchi attaccati alla terra da minuscoli piedini legnosi, hanno gl'occhi che son strane bacche viola scuro, di quelle che s'usavano quando si era piccoli per giocare a cerbottane, e te li ricordi i segni che lasciavano indelebili sulle magliette? Certo che li ricordo signor sambuco e signora quercia e ricordo anche le botte della mamma, che non riusciva più a lavarle. Meli e peschi e due ciliegi altissimi coi fiori bianchi bianchi, un profumo come di donna che mi stordisce di dolce, troppo per me tutto assieme. Liane verdi come collane su spalle di eleganti signore robinie, bracciali di pigne per le spinose madame marroni e un po' altezzose, e sandali di muschio odoroso a ornare piedi di radici aggrappate al terreno. Gruppetti di salici e roveri antichi, loro si che gridano, GRIDANO, mi urlano in faccia arrabbiati e so che forse hanno ragione e lo spavento che per fortuna passa, non appena davanti alla salubre autorità dell'abete rosso. Oh, signor abete, la prego, mi perdoni, non so cos'ho fatto anzi sì forse lo so ma mi perdoni, sono solo un uomo, debole e inutile di fronte a voi grandi creature amiche del tempo che conoscete i segreti del mondo e le voci degli uccelli e non avete paura del freddo e ve ne state qui sotto il sole e le stelle e non fate mai nulla di male vi prego, perdonatemi, son solo un'uomo ch'è rimasto bambino. Abete che storce la bocca e alza un ramo e m'indica la strada con una delle sue secche dita, allora mi giro e imbocco la via e le voci si moltiplicano, ancora più forti invadono la mia testa e rimbombano come in una caverna umida e forse non sono solo quelle degli alberi e del bosco, ma tante sono di persone, ma non capisco e son confuso, mentre eleganti betulle fanciulle ridono con voci chiare e squillanti al corteggiarle di olmi e ippocastani, e poi cedri, e frassini, e un faggio grosso e nodoso.
"Quanto sono deboli queste tue mani tozze, corte, bianche, mani morbide di chi non ha mai lavorato un giorno sudando per lo sforzo, mani abituate solo a scrivere e firmare, mani adatte a contare i soldi, ma che non sanno cucinare ne accarezzare come si deve, come sono ridicole e inutili, inesperte e senza calli, hai i capelli grigi ma le mani come quelle di un bambino, vulnerabili al confronto della corteccia del tasso, imponente tasso che così tanti rami ha donato per la nobile causa Sioux o Cheyenne, quanti dei suoi arti son diventati archi e frecce di grandi capi, nobili guerrieri dei quali il bosco e il fuoco e il vento e la terra non si scorderanno di certo. E invece tu! Guardati, sei solo un'uomo ch'è rimasto bambino, chiedi perdono, saremo misericordiosi, noi custodi del tempo e figli dell'acqua piovana, che all'occorrenza sappiamo farci dimore per la fauna bisognosa che ci sa rispettare. Voi, invece, ci avete insultati, disprezzati, superbamente avete creduto di poterci considerare oggetti, avete fatto finta di non sapere di tutta la vita che scorre nella nostra linfa verde, che traspira dalle nostre foglie, che si libera nutrendo l´aria che respirate, dei i nostri frutti dolci che lasciamo cogliere a voi, uomini avari, che siete senza cuore, ma diventate docili e al nostro cospetto non fate che frignare, perchè siete proprio rimasti bambini".
Il bosco ora è silenzioso, il cammino si fa più solitario, gli alberi son più radi e guardano discreti. Passi rumorosi, qualcuno che corre, spezzando rametti e schiacciando le foglie secche. Tante facce. Giovani, vecchi, donne, alti e bassi e grassi e magri che corrono nella mia direzione e mi superano quasi senza vedermi, poi qualcuno si ferma a cercare per terra le ghiande e le nocciole. Parlano di discorsi che tutti i giorni si fanno a casa o al bar o in chiesa.
Adesso volto la testa lentamente, non c'è più nessuno, solo un ragazzo magro, comparso silenzioso alla mia sinistra. Anche lui ascolta l'abete. Anche a lui il vento pregno di voci scompiglia i capelli. Ma nel suo sguardo non c'è il mio rispettoso timore.

Proprio così. Nel mio sguardo non c'è il tuo rispettoso timore, stolto vecchio. Guardati, sei viscido e indifeso come una lumaca.

Taci, ragazzo. Non ti permettere di giudicare. Anche tu sei colpevole. Non fai niente per il tuo mondo, non rispetti gli altri e nemmeno te stesso, non pensi mai a quello che ti sta intorno. Sei spento come la tua generazione, sei figlio di tempi malati e poteri muffiti, sei uno schiavo legato ad un guinzaglio d'oro.”

No, invece, albero. Non starò zitto. Tutti ci dite che non abbiamo spina dorsale, che non c'impegnamo per il nostro mondo, dimenticate che siete VOI ad avercelo consegnato così, conciato peggio che mai. Voi, vecchi, che avete da spendere sempre mille lodi per i tempi passati, ma che non serbate mai un consiglio. Dall'alto degli anni, potete permettervi qualsiasi critica. Io non ci sto. Non mi pento di nulla. Non tengo a questo posto, a questa vostra terra. Forse una volta sì, quando ero piccolo, allora mi piaceva giocare nei fossi o sotto i salici, e conoscevo l'odore dei prati. Ma sono invecchiato rapidamente, perchè il mio orologio va molto, molto veloce.

Non incolpare noi degli scempi dei quali la tua razza è causa! Io ti conosco, ragazzo. Come ho conosciuto molti uomini prima di te. Tanti quante sono state le mie foglie. Vi vedo nascere, crescere, diventare vecchi e poi, proprio come foglie, appassire e morire. Una vita delle vostre, per noi, non dura che il tempo d'una stagione. Eppure tu sei molto giovane, e dai vecchi hai preso solo la parte peggiore: la rassegnazione, la paura della fine, il timore di non aver fatto il massimo, la voglia di lasciar perdere. Potevi imparare la saggezza, il saper ascoltare, la cortesia di chi sa come funziona il mondo. Hai sbagliato, ma ti puoi ancora correggere.”

Il ragazzo si sveglia. Si rigira nel divano, ancora immerso nel dormiveglia, preso dall'agitazione del sogno. Si ranicchia in posizione fetale. Un lungo brivido lo fa tremare. Sbuffa, si rende conto di essere sudato. Ha ancora i vestiti addosso. Prende la coperta da un lembo e la getta via, scornato. Rabbrividisce ancora, questa volta più forte. Il sudore freddo appiccica i vestiti alla pelle. Si passa una mano tra i capelli radi, da un'occhiata all'orologio. Si alza e spegne la tivù ancora accesa, sintonizzata su una rete locale. Passa per il corridoio, arriva in camera sua e si chiude dentro.

Ti capita mai d'incontrare persone in sogno? 

martedì 8 maggio 2012

Animal House (G, V, Canada)

Vicino a casa mia c'è una collina a ridosso della costa e con una vista panoramica di Victoria a 360 gradi. A piedi o in bici ci vado spessissimo ultimamente. L'altro giorno che c'era un bel vento dall'oceano, ho visto 4 falchi che si divertivano a restare sospesi in aria con le ali spiegati, quasi senza muoversi. Attorno alla collina c'è un bosco di querce, dove vivono, e sopra il quale compiono i loro ampi cerchi di cacciatori. Camminando fra le villette ho visto delle lepri sgattaiolare e la loro presenza spiega quella dei falchi. È dura coltivare un giardino da queste parti, fra cervi e lepri che scorrazzano allegramente. Mentre in Italia ce li mangiamo in salmì, qua i coniglietti sono dei pets, se li tengono in casa come gatti, addirittura liberi di gironzolare e rosicchiarti il divano, la moquette e qualsiasi cavo elettrico. Anche mia figlia, da piccola, ne ha voluto uno, che tenevamo però in una grande gabbia in giardino. Siccome era femmina, e di conigli selvatici ce n'è dappertutto qua, nonostante la gabbia era riuscita a scavare un tunnel e a rimanere incinta. È nota la reputazione dei conigli…
I parchi dell'università e dell'ospedale sono strapieni di coniglietti, che sgambettano tranquillamente sotto gli occhi indulgenti e disneyani di studenti, professori, pazienti, eccetera.

martedì 1 maggio 2012

Fukushima mon amour (G, V, Canada)

Oggi è il primo maggio, che in Canada è l'International Workers Day. Non è celebrato ufficialmente e si va a lavorare, ma a Ottawa gli impiegati pubblici hanno protestato contro i tagli del governo e gli attivisti chiedono ai lavoratori di darsi malati.
Comunque, nonostante l'attuale governo decisamente di destra, il Canada è fondamentalmente un paese socialdemocratico alla scandinava -relativamente parlando, vista la continua erosione di quei valori. Qui abbiamo un servizio sanitario universale, un'educazione pubblica che funziona e un'assistenza sociale decente.
E poi è uno stato laico (il premier non si sognerebbe mai di dire "Dio benedica voi e l'America"). Visto il mosaico multietnico di cui è composto il Canada, tutte le religioni si esprimono liberamente e nei propri luoghi di culto, non nelle aule scolastiche e altri edifici pubblici.

Invece una cosa che mi stupisce è il fatto che non ci sia quasi nessun dibattito sul nucleare. Non si discute, c'è e basta.
Intanto sulle spiagge più a ovest di quest'isola, continuano ad arrivare oggetti dal Giappone, probabilmente dalla zone colpite dallo tsunami. Un pallone da calcio, addirittura una moto con targa giapponese (in un container), e altro, hanno impiegato un anno e 7000 km per portare il loro messaggio.

A motorcycle that washed ashore on B.C.'s west coast may have drifted across the Pacific after being carried out to sea by last year's devastating Japanese tsunami, Canada's CBC television reported.