sabato 31 marzo 2012

Alessandro, Sundsvall, Svezia

Strana la Svezia, ti aspetti il freddo ed il gelo..... Le temperature polari.... Lumghi inverni.... E ti ritrovi in spiaggia a fine marzo, certo non in topless, ma comunque su una spiaggia asciutta a prendere il sole in viso, con tanto di occhiali scuri...... Banale...... Non ci sono più le mezze stagioni, ieri faceva parte di un inverno mite, con tanto di nevicata notturna di 3cm., oggi siamo nell'estate svedese, temperature miti, certo non calde, ma discrete considerando i fattori spazio-tempo. Tra un raggio di sole e l'altro scatole e scale, tante scatole e tante scale per un trasloco ed un'ex.... Gli svedesi d'estate sono buffi...... Ai primi raggi di sole compaiono le panchine in piazza (LA piazza, come nelle migliori tradizioni di paese in Italia), tutte rivolte nella stessa direzione, che naturalmente è quella che ti permette stando seduto di irradiarti il volto, e subito dopo si riempiono di "lucertole".... I più giovani approfittano di loro durante la pausa-gelato..... dai 40 in su diventano un punto di ritrovo con gli amici, ci si siede, ci si rivolge al sole, si chiacchera con moderazione ("lagom"), senza risate sguaiate ma con sottili sorrisi, senza alzare la voce...... E si sta lì, per interi pomeriggi, a passare il tempo.... Godendo di quel sole finalmente caldo sul viso....godendone.... Ed annoiandosi, senza ammetterlo, mai.

venerdì 30 marzo 2012

Chiodo schiaccia chiodo (Christian, Amersfoort, NL)

Nel self-service dell’ospedale Meander, un medico e un’infermiera mangiavano due broodje kroket appoggiati ai piatti di plastica. Sante li guardava distrattamente, bevendo del thé alla ciliegia molto zuccherato per rimettersi dallo choc del prelievo del sangue. La dottoressa era stata gentile, lo aveva fatto sdraiare su un lettino e aveva usato anche la siringa “a farfalla”, ma lui era svenuto comunque e poi come sempre, al risveglio, si era concesso i suoi dieci minuti di riso isterico. Ora nel self-service si guardava attorno per non pensare al cerotto attaccato al braccio. Oltre al medico e all’infermiera c’erano due signori anziani in vestaglia e pantofole, un paio di donne incinta, un marito di donna incinta e una decina di palloncini con sopra scritto: “Beterschap”, cioè, nella più concisa delle traduzioni italiane, “rimettiti presto in forma”. Si ricordò che c’erano mali più grandi del suo e scattò in piedi. Procedendo verso l’uscita, fece un cenno di saluto verso la signora coi capelli tinti che una mezzoretta prima lo aveva sottoposto a una specie di quiz per immettere i suoi dati nel registro telematico dell’ospedale: nome, cognome, data di nascita, “ha dei gemelli?”, “com’è il nome del suo medico di famiglia?”, “qual è la sua farmacia?”, “qual è il suo numero di telefono?”, “il suo indirizzo di casa?”, “il CAP?”, “ha un numero di telefono fisso?”, “ha un documento d’identità”, “ah, è italiano, benvenuto in Olanda!”, “il laboratorio delle analisi è lì in fondo, poi salendo le scale al primo piano, a destra, poi a sinistra, poi a destra, dritto, a destra, stanza 345, si faccia dare il numero e poi aspetti il suo turno”. Aveva detto tutto quasi d’un fiato, lui era riuscito a stento a tenere il ritmo nel rispondere, anche perché per definizione non ricordava mai né numeri di telefono né nomi olandesi. Era risaputo. La signora comunque non si era spazientita, aveva ripetuto le domande senza scomporsi e continuando a sorridere, come in un film americano. Gli sorrise anche ora, ricambiando il saluto, mentre spiegava ad un altro utente che il mazzo dei fiori che la signora Dijkstra doveva aver lasciato per lui alla reception non era lì e che no, non c’erano altre reception in quell’ospedale e neppure altre persone che avrebbero potuto sapere dove fossero i fiori e che lei poi tra l’altro non sapeva chi fosse questa signora Dijkstra, “Ma come, è la caposala di ortopedia, non può non conoscerla?”, “Ah sì, ha ragione, ma la caposala di ortopedia oggi chi l’ha vista? E insomma, comunque qui i fiori non ci sono, non so cosa dirle”, “Beh, ma è proprio strano, la signora Dijkstra mi ha chiamato poco fa per dirmi che erano qui”, “Ma proprio non so…”, “Betsie, ma guarda che i fiori sono lì davanti a te!”, “Ma come davanti a me? Questi fiori gialli di plastica qui sul bancone?”, “Sì sì, proprio quelli….”, “Ah beh….. forse la signora Dijkstra….. mi dispiace….. non sapevo……”, “Ma non si preoccupi, si vede…… di plastica, che stran…….”. Sante si allontanò lentamente, poi infilò la porta girevole, per una volta evitando di assaggiarne il vetro con la testa, e si diresse verso la bicicletta. Del prelievo non aveva ora più memoria. Chiodo schiaccia chiodo, è il caso di dire.

Vita universitaria (Picchi, St Andrews, Scozia)

Studiare in un'università anglosassone ha i suoi vantaggi. Prima che partissi mio padre mi aveva avvisata che nel mondo universitario inglese è facile fare di tutto tranne che studiare. Ne avevo sorriso perchè al liceo ero sempre riuscita a combinare lo studio attività extra-scolastiche. 
Ora che mi trovo a studiare a St Andrews, una città abitata da meno di 17.000 persone, perlopiù studenti, pensionati e qualche occasionale amante del golf, le ben 140 societies dell'università mi offrono l'opportunità di fare qualunque cosa. Che si sia appassionati di valzer o arrampicata sul ghiaccio, che si voglia fare volontariato o teatro si può contare sul fatto che ci sai qualcuno che condivide il proprio interesse. Quando le opportunità sono così tante diventa davvero facile passare le giornate a barcamenarsi fra un evento e l'altro. Nella prima settimana del semestre senza che me ne rendessi conto mi sono ritrovata iscritta ai club di basket, swing dance, alla middle east society a la foreign affairs society. Al momento faccio anche un corso di francese e canto in un coro (c'è voluto un semestre per scegliere quale dato che ce ne sono almeno quindici). Fortunatamente non tutte le società vogliono impegni fissi e si riesce a fare un pò di tutto. 
In ogni caso l'impegno paga e mercoledì 21 marzo la mia squadra di basket ha vinto la BUCS Scotttish Conference Cup dopo aver finalmente sconfitto la squadra di Aberdeen!



martedì 27 marzo 2012

Qui il lavoro non si chiede e non si da. Si inventa! (Felice, US)

E' il motto, sebbene non ufficiale, di questa parte di America. Il lavoro qui non lo si chiede. Il lavoro qui si inventa. E basta dare un'occhiata in giro per rendersi conto che è più che un motto. E' uno spirito. E lo spirito, si sa, è difficile rinchiuderlo dentro le pareti. E così lo si trova un pò dappertutto. Senza escludere la strada. A questo punto è d'obbligo una premessa. Quando ero piccolo, un pò di tempo fa, non tantissimo, la formazione del carattere soprattutto di noi maschi, passava attraverso delle tappe più o meno obbligate. Fucili costruiti con mollette e vecchie camere d'aria. Poi si passava alle fionde fatte con gli elastici delle mutande. Un ombrello, meglio un ombrellone, era una miniera di archi e frecce. Ma ad un certo punto scattava in noi qualcosa. Ecco, qualcosa di più spirituale...vediamo...come posso dire... era musica, sì. No. Lo spirito si manifestava nel bisogno di ritmo. Ci dev'essere qualcosa di arcaico in questo richiamo se i suonatori di Bonghi non si sono ancora estinti, anzi. Comunque, per farla breve, la nostra formazione  prevedeva necessariamente la scoperta della batteria! Ritmo. Percussione. Ero un bambino che giocava a pallone per strada. Cacciavo lucertole e pescavo polpi. Una batteria vera e propria si sarebbe potuta suonare solo in casa. E lo spirito in casa ci sta malvolentieri. E poi, chi poteva permettersela?  E soprattutto: ma chi la voleva una batteria vera? Avevamo a nostra disposizione pentole di diversa grandezza e forma. Potevamo disporle come ci pare. Ogni tanto qualcuno riusciva a procurarsi un secchio della calce per imbiancare. Quelli bianchi, alti e robusti che risuonano molto meglio delle pentole. Solo che i secchi erano rari e non sono mai riuscito a capire perchè il secchio della vernice sia più prezioso delle pentole. Potrebbe sembrare un attacco di nostalgia questo, e invece no. Forse il rimpianto per non aver continuato su quella strada che, ho scoperto, è molto promettente. Dà lavoro a molti che ogni giorno incontro sulla strada e contribuisce a creare un' atmosfera unica in questa parte di mondo. Non si tratta di indigenza. La strada qui è un luogo "anche" di eccellenza. C' è un altro modo di dire fra le persone che girano qui intorno, tutti un pò mezzi-scienziati. Non è tanto importante scoprire qualcosa. La cosa più importante è farci qualcosa con la scoperta. Quello che fa la differenza, è riuscire a proiettare nel futuro una scoperta o una invenzione. Ah se avessi capito il potenziale delle batterie di pentole e secchi....







Gechi (Victoria e dintorni, Canada)

La settimana scorsa è arrivato il tiepido e sono andato per ben due volte alla spiaggia, a prendere il sole a torso nudo e a studiare spagnolo. Poi un fine settimana di sole e giri in bici lungo la rete di sentieri ciclabili che ti portano dalla città alla costa, o al lago, o fra i boschi. Si chiama Gallopping Goose Trail, l'oca al galoppo. Condivisa da camminatori, ciclisti e a volte cavalli, che lasciano la loro bella scia di deiezioni. Occhio alla merda!
Proprio un bel giro, con pausa gelato, e si trova proprio di tutto lungo la strada: il porcile all'aria aperta coi maiali stravaccati a prendere il sole, la fattoria che vende prodotti nel proprio spaccio, la spiaggia lunghissima ricoperta di tronchi portati dalle maree. In giro con un amico, che tra l'altro è italiano, di Pordenone (i victoriani non sono tanto socievoli). Abita in cima a una collina che, non si direbbe, ma a farla in bici ci si spacca le gambe. E infatti son qui che sto recuperando, evitando per due giorni la mia solita girata mattutina lungomare. Girare in bici lungo la costa, di mattina presto, è una gran bella cosa (se non piove e tira vento).
Che altro dire, ho seminato il primo round di piselli, fagioli e taccole, o mangiatutto (vedi foto). "Io speriamo che se la cavano"...


lunedì 26 marzo 2012

Estate britannica, Newcastle upon Tyne, Vanessa

Tra sabato e domenica le lancette dell'orologio vengono spostate un'ora in avanti e cosi' ha inizio l'estate britannica. Beh, non proprio, ma almeno cosi' lo riconosce il calendario.
Siamo fortunati perche' proprio in questi giorni le temperature hanno superato quelle di roma e atene, secondo il meteo di londra, e fa cosi' caldo che la gente(uomini) va a giro a petto nudo, e fanno il bagno nel gelido mar del nord.

E' vero che l'estate brittanica si gode ora, nel periodo tra la fine di marzo e meta' giugno. Dopo di che' il clima diventa umido e piovigginoso e grigio e miserabile.

E' vero che  non tutti i britannici sanno come affrontare il caldo. Tanti sono mezzi 'gnudi a bere litri di birra sulla spiaggia fino a sentirsi male, tanti fanno sport sotto il sole e diventano rossi come aragoste. Ma tanti, li vedo riempirsi la faccia di crema da sole, quella grossa e gessosa che rimane addosso per tutta la giornata.

Da Italiana che vive all'estero mi sto abituando al clima di quest'isola nordica e devo dire che non e' male. Per me l'estate britannica e' la primavera fiorentina, forse ancora piu' bella perche' i prati sono ricoperti di narcisi e le strade sono profumate di ciliegi in fiore. Forse non potro' mai abituarmi al cambiamento che avviene a fine giugno, quando da clima tiepido e profumato, diventa umido e piovoso.

Poi pero' ci penso, e so che e' solo grazie a questo clima che il mio, come tanti altri orti, sono rigogliosi e la terra e' ricca di tanto buon nutrimento, le nostre patate crescono a vista d'occhio e cosi' fanno le rape, carote e anche i vari cavoli, broccoli e insalate, frutta di rovi specie fragole, more, ribes bianchi e neri e lamponi e poi i fiori e ovviamente il mio amato rabarbaro.

E allora che dire, mi godo il sole ora per sopportare la pioggia poi che fara' in ogni modo bene agli orticelli, boschi e ruscelli.
Buona estate a tutti!


domenica 25 marzo 2012

damiano,battagliatermewenetoitalia


ma in questo blog i giorni quando iniziano e quando finiscono?
stamattina qui è cambiata l'ora e io non me lo sono ricordato.
come al solito quando si tratta di organizzare il tempo.
vabbè comunque sia, Eustacchio il mese scorso era malato, e questo mese è partito per nonsodove: ma chi lo capisce. mi ha chiesto di mettere qualcosa io, così che il Lettore veda qualche scarabocchio.
un saluto a tutti da me e da Eustacchio. 



Alessandro, Sundsvall, Svezia

Minchia...... (si puó dire lettore?)...... sto perdento la testa!!!!!


La scorsa settimana scorsa ho scritto di venerdí convintissimo che fosse sabato, ieri sera mi son reso conto che era sabato alle 23,30, dopo qualche bottiglia di birra e con gli occhi giá chiusi, non so dire se per la birra o per la stanchezza...... tant'é, spero che il lettore mi perdonerá vedendo che cerco di recuperare......
Questa é stata una settimana banale...... niente di eclatante..... niente di speciale da raccontare...... nessuno spunto...... bisogna che mi inventi qualcosa...... 
La neve se n'é andata..... una settimana fa il mio parcheggio aveva ancora 12 cm. di ghiaccio, oggi é asfalto puro..... ci sono piú di 10 gradi..... ed é solo marzo  (si, ok, quasi aprile). 

Oggi   ho portato i miei figli a provare lo snowboard (lottando e vincendo contro il mio disappunto) e nel parcheggio ho incontrato un altro maestro di sci, ci siam messi a parlare, era venuto da solo a sciare oggi perché probabilmente sará l'ultima volta per questa stagione, nonostante il caldo e  la neve "pappa" che non ti lascia girare....... ma tant'é...... quasi quasi piangevamo nel parcheggio...... solo la settimana scorsa eravamo insieme ad Åre......


Ma come detto questa settimana é stata banale...... troppo banale....... inutile anche parlarne...... o scriverne.....

giovedì 22 marzo 2012

Greve Geral, 22Mar (MatteLisboaPortugal)

Oh! Questi, quando dicono che fanno sciopero, proprio sciopero fanno! Stamattina la metro era chiusa, i treni rimasti pochissimi e pieni, gli autobus dimezzati, e i lavoratori arrabbiati sono scesi a riempire le strade insieme alla gente che se ne andava a piedi per la città. Ha fatto caldo e c'era un bel sole che faceva brillare le camionette e le bandiere dei sindacati. Una ragazza m'ha appioppato un cartello con su scritto "Combate o governo da trojka. A receita grega è a ruina", che ho portato per un pezzo, e forse parevo un pesce fuor d'acqua. Il clima era tranquillo, più di come mi aspettassi. Ho fatto tante foto, io che ne faccio quasi mai. Ho visto facce di tutte le età, seguendo per due ore lo spezzone vicino ai sindacati. La gente non era moltissima ma, da quello che ho potuto capire, la cosa era dovuta al fatto che sta cominciando un periodo di mobilitazione che prenderà corpo nelle prossime settimane; si attendono quindi altre fette della torta sociale, da essere servite in piazza nel medio periodo, guardando anche all'eventuale simultaneità con eventi europei e mondiali. Ho sentito ripetere "A nossa luta è internacional", come si può anche leggere, e questo mi è sembrato un punto che tanti volevano sottolineare. 


Si preannunciano altri pesanti tagli alla spesa sociale, alla sanità, alla scuola; il governo sta calando le braghe, di fronte ai dettami neoliberisti dell'effeemmeì; i jovani sono disoccupati e/o emigrano; il modello sociale europeo è ormai un ricordo, e manco troppo nitido; tutte cose che, nella giornata di oggi, mi son suonate stranamente familiari. Oggi, a "che di denaro ce ne è ma il problema è di come è distribuito male", ci ho creduto e l'ho gridato, anche per causa di questa familiarità.
 La gente poi è fluita verso Bento, il palazzo dove ha sede il parlamento. Tanti slogan. La polizia c'era, e persino c'è scappata qualche scaramuccia, ma in generale l'atmosfera non è stata troppo tesa. I leader parlavano in modo chiaro e non elitario, evitando persino quella fastidiosa mania di spezzare le frasi in grossi tocchi che suonano tutti uguali, come in una nènia, cosa che spesso mi aveva dato fastidio, al paese mio, udendola. L'assemblea era pubblica ed è stata data a tutti la possibilità di iscriversi alla lista del microfono aperto, una cosa che in Italia avevo vista solo all'università, in climi per la verità parecchio meno rilassati di questo, c'è da dire. E poi non è mancato un pizzico d'ironia.

In generale, direi bene. Un ragazzo ha detto giustamente di non illudersi, che c'era tanta gente, ma la partecipazione vera è un'altra cosa; ha poi aggiunto che c'è bisogno di una mano da parte di tutti per far girare le idee ed il movimento. L'impressione è che la primavera, di giornate come questa, ne porterà ancora.; e che il Portogallo è, in realtà, più arrabbiato di così.

martedì 20 marzo 2012

Questa è la storia di vacca Victoria

Questa è una città di mare, eppure non lo sembra, non ne ha il carattere. Troppo pigra e tranquilla, niente slanci passionali, tiepida come il suo clima insomma. Ma che posto è Victoria? Bello da andarci in vacanza, o per crescere i figli in un'isola di verde e pochi sussulti; come ho fatto con mia figlia che poi, non appena ha potuto, si è tuffata nella vita di una metropoli, Toronto, dove la gente sta fuori fino a tardi la notte e i ristoranti non chiudono alle 22 (la cucina alle 21), come qui. Questo è un posto da meditazione, da yoga, o da calcio, visto che i campi e campetti sono centinaia e sempre verdi. Il calcio è più praticato dell'hockey in British Columbia, il che è tutto dire. Sebbene il Canada non sia pervenuto a livello internazionale, da non sottovalutare la nazionale di calcio femminile invece, che è fra le prime 10 nel mondo. Tutti i bimbi qui giocano a pallone, ma poi non ci sono strutture e soldi per fare il salto di qualità e si resta sul semi-professionale. O sull'amatoriale, come con le squadrette allenate da un genitore, tipo quella che ho allenato io per 3 anni, finché Sofia non si è stufata di giocare ed è passata alla danza moderna.
¡Vamos Barça!



domenica 18 marzo 2012

Silvia, Qua!


Balli forte e ti viene quasi la nausea, dopo tutto quello che hai bevuto e quello che non hai mangiato. Ma è la canzone d'amore più bella del mondo, quella che cade giù dal palco, ed è fatta per essere ballata in mezzo alla marea umana colorata e sudata che sta lì. Sono tutti un po' ubriachi, e tutti innamorati di qualcosa di diverso, innamorati di puro amor. Ci siete anche voi due, lì, quella sera. Marzo è appena agli inizi.

Qualche giorno prima ti ha detto: parto. Aspetto il visto e parto. Non ti ha raccontato un granchè. E ora che marzo è appena agli inizi parte davvero. Migliaia di chilometri, di nuovo. Fa sapere che è arrivato a destinazione, che quello dove si trova è un altro mondo e tu vorresti fare mille domande su quel mondo lì. 

Com'è il deserto? E di notte, le rare luci della città si spengono e si accendono le molte stelle?
Le persone, cosa fanno? Come vivono là? E le strade e le case e il sultano e le forze armate e la
religione e le donne?

Ma non ricevi più nessuna notizia. Aspetti. Quanto dura un viaggio di lavoro? Aspetti ancora. E
ancora. Chissà l'odore del deserto. 

sabato 17 marzo 2012

I ribelli (Felice, US)

A quante manifestazioni, assemblee, cortei, scioperi ho partecipato? Quante volte in quelle assemblee affiorava un certo spirito anti-americano, nel senso di anti-governo-americano? Quante volte ho guardato all'America dal  punto di vista di una certa spocchia ideologica di cui mi sto finalmente liberando? E' importante che me lo chieda perchè altrimenti non riesco a spiegarmi la sorpresa dei movimenti Occupy qui negli USA che, sebbene con una loro propria identità, si richiamavano ai movimenti del Nord Africa (Libia, Egitto, Siria ecc...). SI sentivano vittima dello stesso gerarca, dello stesso dittatore: la speculazione finanziaria che attraverso il loro braccio operativo (le banche) ha concentrato capitali immensi nelle mani di pochi, e queste poche mani ormai, in virtù del capitale che posseggono, guidano il mondo con la conseguenza immediata di svuotare le democrazie  e con l'effetto collaterale di generare una crisi finanziaria mondiale che ha cancellato milioni di posti di lavoro. Il movimento Occupy è stato molto chiaro su questo. Non ha mai avanzato pretese ideologiche, instaurazioni di poteri o altro. Ha chiesto limiti all'accumulo di soldi. Ha chiesto stato sociale. Mai mi sarei immaginato che qui a Boston avrei sentito parlare di stato sociale. Al campo di Occupy Boston c'era un vialetto "Sacco and Vanzetti Street". Che radici profonde ha questo movimento. Ma la cosa più radicale che ho visto sono state le assemblee. Gli interventi erano sempre brevi e focalizzati. Nessuna prevaricazione. Nessun tentativo egemonico di minoranze. Nessuna bandiera di partito. Ma attenzione e ascolto. Questo veniva assicurato da un metodo geniale: il microfono umano. Nelle assemblee all'aperto, senza una amplificazione da concerto rock, non si riesce a farsi sentire al di là della prima fila. E a questo punto che la prima fila diventa strategica: lo speaker scandisce frasi brevi, e tutti quelli che riescono a sentirlo la ripetono. Ripetere ti obbliga ad ascoltare, a masticare quello che senti. Parlare al microfono umano d'altro canto, obbliga l'oratore ad essere breve e chiaro. Non posso non nascondermi che a molte delle assemblee a cui ho partecipato in Italia, i fiumi di parole si traboccavano inondando l'assemblea. I distinguo, le ortodossie, le egemonie, le nicchie di pensiero, le elites, le strategie...e soprattutto era più importante parlare che ascoltare...che sia questa la rivoluzione di cui l'Italia ha bisogno? Mettere la realtà al di sopra dei miti? Porre l'ascolto finalmente prima della prevaricazione? Eppure, quando al corteo cittadino, nel centro di Boston, la banda ha suonato Bella Ciao...mi è venuta la pelle d'oca!


Sogno (Christian, Amersfoort, Paesi Bassi)

La notte era iniziata e finita in ritardo e a causa dei suoi innumerevoli ritardi, nel sogno, Sante aveva anche perso decine di treni, autobus e aerei. Ma le città che conosceva si erano disposte l’una dietro l’altra e aveva comunque potuto muoversi tra Ipanema e Brozzi, tra il Leusderkwartier e il Nuovo Salario. O forse, così sembrava in altri momenti di quei sogni frammentati, aveva scoperto il più subdolo dei sistemi di teletrasporto della storia del mondo: entrava nell’Ikea lungo la superstrada per Amsterdam e, presa la solita scorciatoia a sinistra tra un Fjellse e un Billy, si ritrovava all’uscita di quello dell’Osmannoro a Firenze, a un passo dalle ex baracche dei rom rumeni e le fabbriche dei cinesi. Prendeva un caffè al bar “Gino” e poi, imboccata nuovamente l’entrata svedese, risbucava a tre passi dal porto industriale di Danzica.
E in ogni città poi – in ogni angolo di ogni città – aveva una sua bicicletta, di cui apriva il lucchetto suonando con un flauto traverso la musichetta dei magazzini olandesi Hema, o forse della Standa. Si aggirava su due ruote in quel mondo compatto e diversificato come un Pacman nel labirinto, tra caschi di banane, tappeti persiani e innumerevoli voci. A Nuova Delhi scambiò due chiacchiere con un amico delle scuole elementari, tale Pino Sambionetti, che gli raccontò di aver coronato il suo sogno di diventare manager, ma a costo di accettare di lavorare per una multinazionale della ceramica da bagno. Mentre a Bogotà riconobbe in nella vetrina di un ristorante italiano una sua ex-insegnante di matematica, costretta a fare da manichino per una tunica e dei sandali da antichi romani. Le sue spalle erano incurvate come venti anni prima.
Sante girava per le strade, pedalava, osservava. Ma quando, in una brasserie di Marsiglia che sembrava un circo, si fermò a chiedersi “perché?”, tutto intorno a lui si sciolse come il gelato sulla spiaggia di Sabaudia il 6 di agosto del 1983.

venerdì 16 marzo 2012

Alessandro, Åre, Svezia

Ce l'ho fatta anche oggi, sono qui e scrivo...... Poi, caro il mio lettore, prova a dire che non ti voglio bene..... Sono seduto su un bellissimo divano di una "stuga" ad Åre dopo aver sciato tutto il giorno con i maestri di sci di una delle due scuole di cui faccio parte, piedi sul tavolino e la tastiera dell'i-pad sotto le dita...... Erano anni che non sciavo un giorno intero solo per me....... È bellissimo e domani e domenica si replica...... Il rovescio della medaglia...... Questa é la mia vita, lo é sempre stata in realtá, e l'ho vissuta solo a piccoli sprazzi. Questo é quello che so fare, una delle cose che avrei potuto lasciare ai miei figli...... E prima per Amore verso mia madre, poi verso la mia ex moglie, poi verso i miei figli...... L'ho lasciata andare, passata. Ed oggi rammarico...... Sicuramente l'unico che non ho mai amato sono io. Åre é un tentativo di imitare le nostre alpi, come sempre mal riuscito, e trasformatosi, come spesso le nostre alpi, in un continuo dopo-sci che in realtá comincia giá al mattino, con birra, alcool, musica a tutto volume e donne discinte che ballano sui tavoli...... Eppure.... Sarebbe stata la mia vita...... Ad accarezzare le montagne, guardare i cieli, venerare gli animali selvaggi infastiditi e relegati nella selva dai turisti...... Qui l'alce, animale splendido come lo sono tutti, é "vissuto" come una sorta di dio in terra, amato, venerato, rispettato, e poi ucciso e mangiato..... Una sorta di cannibalismo, una sorta di rito per appropriarsi in qualche modo di una divinitá e cercare di dimostrarsi superiori anche ad essa........... La stupiditá umana..... La mia....

giovedì 15 marzo 2012

Matte, Lisboa, Portugal



Amalia Rodrigues, qui conosciuta semplicemente come Amalia, è stata per il Fado portoghese quello che Michael Jordan è stato per il basket americano. Il testo di questa canzone, "Maria Lisboa", dedicata alla città, l'ha scritto il poeta, romanziere e letterato David Mourao-Ferreira. Come si può vedere, l'ho trovato stampato anche sui vetri dell'ostello della gioventù. E mi son commosso un pelo, pure se sono un duro, anche  peggio di Bruce Willis in "Die Hard". Attacco qui testo e traduzione.

É varina, usa chinela,
Tem movimentos de gata;
Na canastra, a caravela,
No coração, a fragata.

Em vez de corvos no xaile,
Gaivotas vêm pousar.
Quando o vento a leva ao baile,
Baila no baile com o mar.

É de conchas o vestido,
Tem algas na cabeleira,
E nas velas o latido
Do motor duma traineira.

Vende sonho e maresia,
Tempestades apregoa.
Seu nome próprio: Maria;
Seu apelido: Lisboa. 

Vende pesce, usa pianelle,
ha movimenti da gatta.
Nel canestro, la caravella,
nel suo cuore, la fregata.
Al posto dei corvi sullo scialle
vi si posano i gabbiani.
Quando il vento la porta a danzare,
danza il suo ballo col mare....
Di conchiglie è il suo vestito;
tra i capelli porta alghe;
nelle vene pulsa il battito
del motore di un peschereccio.
Vende sogni e odor di mare
Ed annuncia le tempeste.
Il suo nome è Maria.
Il cognome è Lisbona.

E, per chi ci interessa, anche un link che porta al Tubo. Ciao Ciao.

martedì 13 marzo 2012

Gechi, Victoria, Canada

La primavera di Victoria è cominciata. Si accende piano piano, brucia a fuoco lento e si tramuta alla fine in un'estate moderatamente calda. Intanto i ciliegi ornamentali e i prugni sono in fiore; i viali del centro sono illuminati da queste nuvole rosa pallido o rosa vivo. Ma nel frattempo marzo è veramente pazzo e piove, fa sole, nevica, rifà sole, ripiove. Come dicono da queste parti: se non ti piace il tempo di Victoria, aspetta un quarto d'ora. L'ombrello non va molto qui, la pioggia ci fa un baffo. Piuttosto ci si equipaggia con giacche e pantaloni impermeabili. Più d'uno mi aveva detto di avermi visto andare in bici con l'ombrello e gli sembravo come in un film italiano…ma adesso non lo uso più, troppo vento, è come andare in windsurf. E qui a volte tira un vento dal Pacifico che stira le piante. Quelle sulla scogliera sono tutte gobbe a formare un bel tunnel sopra i vari sentierini che ti portano giù in spiaggia. Con tutta la pioggia e umidità, l'erba è sempre verde, anche d'estate, e costellata di giunchiglie (narcisi gialli). Una volta che mia madre era qui in vacanza, le hanno quasi dato una multa per averne raccolte un po'. Anche i bucaneve e i crocus sono dappertutto, e nell'aria si sente una promessa di primavera, coi suoi languori e desideri che prima o poi saranno appagati.








lunedì 12 marzo 2012

Vanessa, NCL, UK


Oggi mi sento di ascoltare questo cantautore fantastico... e lo voglio condividere con il lettore =)


domenica 11 marzo 2012

Michele, Trieste > Milano

Di ritorno da un'intensa settimana passata a Trieste con un gruppo di studenti (super bravi) a progettare un concept per gli interni della futura sede triestina di The HUB.

Tra un confronto e l'altro, tra un modello e uno storyboard i caffè non sono mancati,
e allora un giorno abbiamo fatto un test: "ma perché non prendiamo otto caffè tutti diversi?"

Detto fatto,
nella foto in basso trovate la prima versione dell'esperimento:
nero, goccia, goccia in b, capo, capo in b, macchiato, marocchino, macchiato al cioccolato.
Li riconoscete?

Con la prossima gita a trieste aggiungeremo altri pezzi alla collezione :-)

Buona domenica.


sabato 10 marzo 2012

Alessandro, perso nei meandri......

Perso, perso, perso....... non so nemmeno io dove....... manca la voglia di scrivere di / su qualcosa di specifico.... un pourpourri di idee, pensieri senza nesso logico mi si confá maggiormente stasera....... vorrei...... vorrei..... vorrei ma non posso....... E perché a mezzanotte meno un quarto continuano a bussare alla porta di camera mia come se dovessi essere a piena disposizione 24 ore su 24? Di sabato per di piú....... Fy fan.........
Meno  male che giovedí vado ad Åre..... da solo...... mi piacerebbe andarci coi miei figli ma ci andró con la scuola di sci, o meglio, con gli insegnanti...... dal giovedí sera alla domenica sera...... riusciró a scrivere sul blog? Non lo so. Forse marco visita........ Non Vi offenderete mica? Per una volta che prendo un giorno di ferie....... forse....... se ci riesco scriveró comunque....... dall'i-pad........ ebbene si, la scuola di madre lingua mi ha fornito di i-pad, cosí ora posso andare in giro a fare il figo dicendo che ho l'i-pad 2, anche se in realtá non ci posso fare niente perché ogni app deve essere preventivamente autorizzata....... meno male che hanno giá annunciato l'uscita del nuovo modello, almeno torneró ad essere un poráccio..... non lo sopporto quando la gente mi giudica/ammira solo perché vede che ho in mano un i-pad........ 2 per giunta......poi magari faccio/dico qualcosa di intelligente e nessuno mi caga........ peró se ho li-pad 2..........
Stare seduto, anzi disteso su una sdraio....... al sole...... completamente nudo....... sentire il sole sulla pelle, sentirsi libero di sentirlo, un bicchiere (anche 2, come l'i-pad) di Brunello, un libro......... un sorriso.....   il silenzio....... 

venerdì 9 marzo 2012

Almere Esterno (Christian, Amersfoort, Paesi Bassi)

Quella città aveva la sua stessa età, l’aveva letto da qualche parte. Almere l’avevano costruita nel 1976 su un’isola artificiale grande come una regione, Flevoland. Prima lì c’era il mare, il Zuiderzee, ora ci abitavano duecentomila persone, in larga parte ex-abitanti dei quartieri popolari di Amsterdam e immigrati delle Antille, del Suriname, del Marocco.
Più si guardava intorno, più Sante si convinceva che avrebbero fatto bene a lasciarlo al suo posto, il mare. Tutto era nuovo, di quella “modernità” di plastica, vetro, cemento e asfalto che sembra piacere così tanto agli architetti trendy. A lui sembrava semplicemente brutto. Anonimo, precario, falso. Una specie di grande centro commerciale in cui la gente non si limitava a fare acquisti, ma dormiva, mangiava, lavorava, studiava.
Scese dal treno ad Almere Buiten (Almere Esterno), passò a piedi in mezzo a una ventina di capannoni con ingrossi di fiori, mobili, letti e tappeti, poi salì su un ponte in finto legno e si infilò in un sottopassaggio in cui rimbombava il rumore delle automobili che correvano sulla superstrada sopra la sua testa. Seguì la pista ciclabile fino ad un grosso edificio grigio di tre piani con molte finestre, che una ventina di metri dopo si dispose attorno a lui a ferro di cavallo.
Il concierge non fece caso a lui quando gli passò davanti. Sante proseguì verso la sala docenti. Riconobbe l’insegnante di olandese della classe 1H4B, una donna sulla quarantina molto alta e robusta, sempre sorridente, con i capelli rossi e ricci. Cercò invano di ricordarsi il nome, poi accennò anche lui un sorriso mentre la macchinetta versava l’acqua bollente per il the in due bicchieri di plastica che aveva messo uno dentro l’altro per evitare di scottarsi le dita.
“Come sta andando lo stage?” – chiese lei versando il caffè americano in una tazza blu.
“Molto bene, grazie. Lo trovo molto interessante. La scuola è davvero un mondo. E’ come se questo edificio mi inghiottisse ogni volta che ci entro e mi risputasse fuori al suono della campanella della nona ora”.
Lei sorrise. Poi aggiunse: “Deve essere anche molto diverso dalle scuole italiane, o no?”.
“Beh sì, alcune cose sono diverse. Per esempio le classi qui non hanno una propria aula. Gli alunni si spostano ogni ora nelle aule dei vari docenti”.
“Hai notato che solo i docenti più anziani hanno aule proprie?” – aggiunse subito lei.
“Sì sì. La mia tutor è qui solo da due anni e non ne ha una infatti”.
“Esatto. Carina non ha una sua aula. Io invece ho un’aula tutta mia da sette anni. L’hai vista, no?”.
Sante rimaneva sempre attonito di fronte alla passione degli umani per le piccole gerarchie di potere. Restò senza parole e senza sorriso, con il doppio bicchiere di plastica bianca stretto in mano e la scarpa sinistra che cominciò a battere nervosamente sul pavimento. Lei di sicuro pensò che fosse la sua scarsa conoscenza dell’olandese a non permettergli di proseguire la conversazione. Gli sorrise di nuovo, poi guardò l’orologio appeso al muro, poggiò la tazza blu ormai vuota su un ripiano, prese i libri e si avviò verso la sua classe.

Parole tra noi (Matte, Lisboa, Portugal)


Le parole son importanti, poco da dire. Ogni posto c'ha le sue. E negli anni, e con la pratica e l'utilizzo, le parole diventano cose, e pian piano le cose non riescono più a esistere senza le parole, perdono di senso. La fonetica incarna l'essere profondamente mondano, lontano dal mondo delle idee, vicino alla materia. Il Portogallo non fa eccezione, in tutto questo. Sono molto affascinato dalle parole, dal loro utilizzo quotidiano, dalle somiglianze con parole d'altri posti, dalle storielle, dai detti, dalle piccole saggezze che le accompagnano. Ecco che i portoghesi, per indicare qualcosa di nostrano, usano Tuga, contrazione del nome della loro nazione. Tu ed io siamo Tuga, quel pesce è Tuga, questa casa è Tuga. A volte, mi sembra che certe forme usate quaggiù assomiglino all'italiano antico, un po' ottocentesco, dal gusto nobile: Obrigado, usato tutti i giorni per ringraziare, mi riporta alla mente il nostro molto obbligato; e i bambini, per chiamare, che ne so, per esempio, le bidelle, dicono Dona..., seguito dal nome della signora in questione. Poi, ci son frasi che non serve tradurre, quelle che suscitano simpatia per quanto son vicine ai nostri modi: ad esempio Quanto costa o cafè?, che tra l'altro si pronuncia con un accento vagamente napoletano; Nao tem nada a que ver, non ha niente a che vedere; Nao val a pena, e anche questa si capisce, dai. Poi ci son le mie preferite: le parole della Rua, quelle che non stanno nel dizionario, che si usano nella vita vera. Anda! è il più simpatico degli imperativi, usato per esortare qualcuno a seguirti o a levarsi dai piedi; in ogni caso, moto per luogo. 'Tas a ver? è la domanda retorica che si caccia tra le frasi per accertarsi che l'interlocutore stia seguendo la conversa. Un ragazzo che vuol dire la parolaccia corrispondente a “fuck”, ma è in presenza di un adulto, comincerà con un bel Fo...per poi chiudere la parola con...Go, a mascherare la cattiva intenzione e correggersi in tempo. Fògo è diventato così comune che ora lo usano anche gli adulti, per non dare il cattivo esempio ai bambini. Se una cosa è bella, suscita ammirazione o allegria, tutti usano fix, pronunciato come il pesce degli inglesi; per la verità, anche una persona, una situazione o un tacchino coi baffi possono essere fix. Insomma, qualunque cosa. E quando vedi i branchi di rappers che per esprimere lo stesso concetto si dicono Ta baté!, o si interrogano sulle situazioni chiedendosi l'un l'altro Qual è, amigo?, ti ricordi che, in fondo, sei in una metropoli. Entao, embora.  

giovedì 8 marzo 2012

Il Genio dell'e-book. (Felice, US)

Alla fine ho ceduto: mi sono comprato il lettore per ebook! Fino a poco tempo fa pensavo che non avrei mai fatto questo passo. Certo, il libro di carta ha qualcosa di insuperabile e sono sicuro che ha ancora diversi secoli davanti a se prima di scomparire. Eppure, quando ce l'ho avuto in mano, quando ho potuto giocarci al banco del rivenditore, mi sono subito reso conto che anche l'ebook può avere un futuro. Sicuramente mi risolverà molti problemi di trasloco, quando di solito le casse più numerose sono quelle dei libri. Che, giuro, sono anche le più pesanti. Chi ha inventato l'inchiostro elettronico deve essere proprio un genio. E' quel tipo di tecnologia che può cambiare le nostre vite, almeno quella di noi lettori. Ma come funziona questo inchiostro elettronico? Sono andato a fare una ricerca, ero curioso dei dettagli tecnici, della fisica e della chimica che c'è dietro. Ho avuto conferma della genialità: l'idea è semplice, quasi stupida. Solo che non era venuta in mente a nessuno tranne che a due post-doc dell'MIT. Ora, il marketing potente di istitutioni come MIT o Harvard, ci inducono a pensare che le loro stanze siano popolate di genii sregolati, guidati da un intuito superiore e che hanno sensori che gli altri umani non hanno. Quello dell'inchiostro elettronico deve essere un tipo così. Uno brillante, dotato di parola facile e comunicativa. Chissà, magari anche uno che sprigiona il fascino dell'intellingenza che, suo malgrado soggioga gli altri. Solo che un giorno me lo sono ritrovato nella stanza caffè del mio laboratorio questo genio. Non mi ricordo neanche il nome, dovrei andare a cercarlo su internet ma qui conta che il suo nome non è famoso. Ci racconterà tutta la storia della sua idea, dagli esperimenti giocherecci con i lsuo compagno fino ai guadagni stratosferici della sua azienda produttrice di inchiostro elettronico. E' basso, occhialini da intellettuale europeo anche se addosso a lui fanno pensare più a un secchione. C'ha anche la pancia del 40-enne e veste decisamente  normale, noiosamente normale. E poi ha quel tono di voce che proprio non si riesce a capire come abbia fatto a convincere gli investitori a comprare la sua idea. Forse siamo troppo abituati a confondere la fama con il successo. La lezione di questo incontro è stata che le persone che incidono sul mondo, che sanno molto di noi, che lavorano per migliorare la società, non hanno niente a che fare con il gossip, il marketing o l'autopromozione. La scienza è piena zeppa di questi personaggi. Assomiglia molto  ad Holliwood. Però, come ad Holliwood, la fama non dura secoli. Ma le idee si. E sopravvivono a chi l'ha avuta. E il merito del genio, anzi, del Genio non sta nella sua più o meno autentica notorietà. Non sta in capacità superiori. Il Genio è tutta una questione di lavoro duro e costante.

lunedì 5 marzo 2012

Vanessa, NCL, Inghilterra

Ancora una volta mi metto a sedere sul letto pensando a quanto sia fortunata, a quanto essere "Europea" mi permetta di girare in un lungo e in largo senza troppo preoccuparmi di come funzionano i controlli. 
Quando tre anni fa ero a Calais, la citta' di confine tra la Francia e la Gran Bretagna,  nel campo dove i migranti hanno costruito quella che la comunita' mediatica internazionale ha chiamato "jungle", chiaccheravo e passavo giornate e serate a cucinare, a proiettare films e ascoltare le storie di uomini (non ho mai visto una donna nel campo) che sognano di venire in UK.  Parlavamo di come e perche' e' importante lasciar il proprio paese e rilocarsi dove vogliamo. Quante volte, uno dei ragazzi piu' giovani afghani, veniva a parlare da me perche' voleva chiaccherare in Italiano. Lui l'Italiano lo conosceva bene e conosceva ancora il meglio il Greco, oltre che al farsi e naturalmente all'Arabo. E pensare che le sue abilita' linguistiche non sono state mai riconosciute.
Da Newcastle abbiamo viaggiato con un furgone e trasportato un tendone, un mega pannello e diversi proiettori per avere un piccolo cinema la campo. Avevo portato con me film e documentari di diverso tipo, specie politici, di qualsiasi lingua. Poi nella borsa finirono anche qualche film di holliwood e spaghetti western. La maggiorparte del tempo il cinema era pieno. I ragazzi kurdi ci passavano le serate e avranno visto il sequel di Batman almeno tre volte! Mi chiedevano se potevo noleggiare altri film e cosi' la mattina andavo al supermercato a comprare diversi dvds per cercare di accontentare tutte le richieste. 
Quando ho lasciato Calais per viaggiare in autostop fino a casa a Firenze mi sono quasi sentita in colpa nell'andare nella direzione diversa dalla loro. Loro volevano andare a nord, attraversare il mare, il CONFINE. Io andavo a sud ma poi ho preso un aereo e li ho sorpassati tra le nuvole il mese successivo.
Uno dei ragazzi che era li e' ora in carcere in Iran, la sua terra. Gli hanno dato 20 anni. Deve pagare una somma di 50 mila sterline se vuole che l'avvocato lo faccia uscire. 
Mi girino nel letto e metto la testa sotto il cuscino. Ne dobbiamo organizzare parecchie di serate di beneficienza per arrivare a tanti soldi. E lui e' solo uno dei troppi nella stessa situazione. 
La liberta' di movimento degli individui e' ancora troppo lontana dalla realta' per troppi. Come fo a spiegarlo a mia figlia tra qualche anno? Dovro' adattare delle strategie nel da farsi..

sabato 3 marzo 2012

Alessandro, Sundsvall, Svezia

Una volta qui in Svezia ho subito uno schock: a causa di un parcheggio mal effettuato da parte mia, tornato all'auto il conducente di quella vicina mi ha aggredito verbalmente....... e non voleva saperne di smetterla nemmeno dopo le mie scuse ed il riconoscimento del mio errore!!!!
Un vero schock per chi vive in Svezia! Qui la conflittualitá é pari a zero meno, i sindacati non contestano nemmeno quando hanno ben ragione di farlo, le manifestazioni in un anno si contano sulle dita di una mano, e sono sempre molto civili, senza slogans offensivi, senza rabbia, addirittura quasi con rassegnazione. Se la polizia chiedesse ai manifestanti di mettersi in fila per uno non ho dubbi che questi eseguirebbero senza protestare.
Qui le persone non litigano in pubblico, mai. Se vedete un alterco per strada potete ben essere sicuri che si tratta o di immigrati o di ubriachi, ed in genere entro i 4 minuti si accosta (ovviamente senza sirena o clamore) una "volante" che immediatamente, con la sua sola presenza, é sufficiente a placare gli animi.
Qui le discussioni si spengono prima di accendersi, ai dibattiti sono tutti d'accordo, le idee diverse spesso coincidono, gli avversari come minimo si stimano..... urlare "POTERE ALLA FANTASIA" sarebbe tutt'al piú preso come una stravaganza, una rappresentazione di teatro di strada, o un segnale chiaro di ubriachezza molesta.
Se uno si arrabbia é chiaramente "stressato" o quanto meno fuori di testa.
Potrebbe sembrare un mondo paradisiaco se non fosse estremamente noioso.
Mi manca terribilmente quel coraggio di almeno tentare tramite il dissenso di far valere le proprie ragioni, le proprie convinzioni. Non con quel livello di violenza verbale e fisica che si vive nel resto d'Europa, ma perlomeno il dissenso! Il fatto di dire pubblicamente che tale o tal'altra cosa non sta bene! La veemenza nel sostenere di non essere d'accordo, di vedere le cose in modo diverso!
Giá, "diverso", questa parola in Svezia ha esclusivamente la sua propria connotazione di confronto, mai un significato di "alternativo". E non potrebbe essere altrimenti in una nazione che ha una larghezza di spettro cromatico che va dal grigio chiaro al grigio medio.........
I colori stanno nelle piccole cose.
Ed allora: POTERE AI COLORI!!!!!!!!

venerdì 2 marzo 2012

Y en a marre (Christian, Amersfoort, Paesi Bassi)

Attraversò un binario ferroviario, bussò a una porta come tante e salì al primo piano. Cinque minuti di sala d’attesa passati a osservare i giochi di legno messi a disposizione di eventuali bambini. Dieci minuti di “visita”, poi il suo nuovo medico di base gli sorrise, come a dire: “Cosa vuole ancora qui?”. Si sentì quasi in colpa. Scendendo per le scale fece un rapido bilancio. Non aveva fatto in tempo neppure a togliersi il cappotto, ma era riuscito a ottenere una richiesta per le analisi del sangue. Quei centotrentasette euro che ogni mese era obbligato a regalare all’assicurazione privata Univè servivano per una volta a fare un po’ di prevenzione. Uscì in strada visibilmente soddisfatto.
Lungo la via del ritorno non successe nulla di particolare. Macchine in fila, biciclette in fila, palazzi in fila. Si preparavano tutti alla solita giornata. Anche Sante forse sognava per sé una giornata tranquilla di studio e lettura. Avrebbe voluto anche andare a passeggiare nel bosco. Ma sapeva che le cose avrebbero preso come al solito una piega diversa, per via di quel senso di inquietudine che si portava dentro ormai da tanti anni. Al medico non aveva potuto dirlo, ma soffriva di una forma politica di schizofrenia: sentiva i rumori del mondo anche nel più tranquillo dei luoghi. Camminava tra quelle file di case ordinate, ma sentiva gli interventi dell'assemblea di Bussoleno, gli slogan dello sciopero generale a Mumbai, gli spari nel quartiere di Bab Amr a Homs. “Y en a marre” – gridavano a migliaia nelle strade di Dakar in quel momento. Anche lui, per tanti motivi, sentiva di averne abbastanza.

giovedì 1 marzo 2012

Come suona una cidade? (Matteo, Lisboa, Portugal)

Sarà che ho la sensazione perenne di essere qui da poco, e di conseguenza i giorni passano molto in fretta, ergo  penso spesso di perdermi tantissime cose interessanti, e quindi non sempre sono sicuro di capire bene cosa è veramente degno di nota o cosa no, e dunque mi arrovello forse troppo, pensando a quello che la gente potrebbe o dovrebbe pensare, e poi finisco gli avverbi, e mi ritrovo a suonare la chitarra,  e buonanotte. Di questo vorrei dire. Non sono solo io, è proprio questa città dal nome di donna che sembra avere un legame speciale con la musica. Ovvio, mi si dirà, tutte celànno. La musica è un pensiero che fa rumore, colpisce e non fa male, sta nel sangue, come può una città non averne uno, di legame? Eppure, risponderei, sospetto vi siano differenze ragguardevoli, tra questi suoni di città, degne sicuramente d'essere indagate. Date da cosa, o da chi, ed in che misura, queste differenze, non c'è dato sapere - tuttalpiù  provare ad avvicinarsi all'intuire. Questo perchè non esiste righello per misurare l'emozione. Per questa ragione, il metodo scientifico va a farsi un giro, mentre le storie ed il raccontarle salgono in cattedra: dire sopra la musica di un posto, e fare paragoni con quella d'altri posti, in definitiva, è un esercizio intellettuale fantasioso, e tant'è - a men che non sia un mestiere, ma così ci si allontana. E poi, in questo specifico caso, si sta parlando di musica ao vivo, quella suonata da qualcuno con degli strumenti (benchè la definizione possa risultare piuttosto imprecisa). Dunque il campo si restringe. La ex "Grande Lisbona", comprendente una bella pila di chilometri quadrati intorno alla foce del Tago, è un'area piuttosto affollata: quasi un terzo della popolazione portoghese dimora qui. Si parla di 3 milioni di persone circa; eppure, Lisbona storico-veraeppropria è molto piccola, intima, tipica, manuelina, arabese, vattelapesca. Le due dimensioni, quella metropolista e quella microcomunale, si intersecano in modo singolare e imprevedibile, e questo io me ne accorgo in particolare per quanto riguarda la musica dal vivo. Città di mare e di porti, di corvi e santi, di genti tanto diverse, di aria afrolatineuropea, che suoni può partorire? Un sabato notte passato a girovagare il centro storico può veramente stupire. La cosa che mi ha lasciato basito è la differenza con le altre grandi città che ho visto: qua la melodia è perenne e onnipresente. Interi quartieri zeppi di baretti con dentro musicisti, contrabbassi, fagotti; tamburelli sulla metro, accompagnati da fisarmoniche; chitarristi al parco, ma non fricchettoni come se ne trovano dappertutto; didgeridoo e percussioni in microdiscoteche; fado nei ristoranti; bande di suonatori in locali dove non c'è lo spazio neanche per l'oste. E sempre, tutto il giorno. Mi era già capitato di vedere, altrove, la passione per la musica e per le danze, ma mai questa costante presenza di suono analogico e artigianale. E mai quest'entusiasmo del pubblico eventuale, plurimo o scarno che sia.Giusto per esemplificare: domenica sera. Entro in un locale, un posto molto bello dove son già stato varie volte, che nel pomeriggio ospita bancarelle di roba di seconda mano. Ci son dei tipi francesi che mangiano su di un tavolino. Proprio quando, dopo un giretto, sto per andarmene, il padrone mi squadra, vede la chitarra che porto sulle spalle e mi presenta ai suddetti tipi, dicendomi che la sera c'è una jam session, e invitandomici. Quattro e quattr'otto, così. Che poi mi abbia offerto da bere, e che poi i ragazzi francesi fossero busker bravissimi ed esperti (cajun+chitarra classica, da vedere), e che li abbia conosciuti ed eran anche simpatici, e che dopo il locale si sia riempito di gente e di belle vibrazioni, e che poi si sia aggiunto un turco col sax baritono, e un terzo francese con la fisarmonica, ed un altro col rullante, e che io fossi lì al tavolino, parlando distrattamente con l'armonica in mano e una voglia che non ti dico ma pensando che eran troppo bravi per me, e che più si andasse avanti più si aggiungevano suonatori, gente ed applausi, e che ad un certo punto mi accorgessi che dovevo scegliere se perdere l'ultimo bus o il resto della (lunga) serata, e che con le pive nel sacco optassi per la seconda, e che come un ladro mi dileguassi nella notte, incontrando poi mia cugina italiana proprio su quell'autobus, e che non ci volessimo credere assolutamente a quel fortunoso evento, e che siano, in definitiva, tutti questi giorni che penso a questa serie di avventure pentendomi parzialmente e ripromettendomi di essere più incisivo e diretto la prossima volta che mi capitano cose del genere, son altre storie.